Intervista rilasciata dal nostro CEO Enrico Di Oto a Marco Bettazzi per la Repubblica Bologna, sezione Economia – 30 agosto 2021
Tra febbraio e marzo hanno sviluppato il primo tampone rapido al mondo per individuare le varianti del Covid, in collaborazione con una società di Wuhan. Ma stanno lavorando per renderlo efficace anche sulle prossime varianti. «Il Covid ci ha costretti a cambiare pelle, ma restiamo concentrati sulla diagnosi dei tumori», spiega Enrico Di Oto, ad e socio fondatore di Oacp, società innovativa nata dall’Università di Bologna.
Oggi che cos’è Oacp?
«Siamo un’azienda smart, nata nel 2017, ma ancora piccola. Ci sono i quattro soci fondatori più un socio investitore privato, tutti operativi. Il lavoro è svolto da noi quattro interni, mentre per altre attività ci appoggiamo a partner esterni, tra cui un partner produttivo di Wuhan, in Cina, che è un importante distretto di biotecnologie».
All’inizio cosa vi ha convinto a buttarvi?
«Un po’ per caso. Ci conosciamo tutti da molto tempo e ognuno ha il suo curriculum, chi economico, chi marketing o comunicazione, mentre io ho esperienza nella diagnostica sul cancro. Abbiamo fatto un primo brevetto in questo campo, poi abbiamo vinto un programma di imprenditorialità dell’Università di Bologna e siamo andati 20 giorni in Silicon Valley. Anche lì tutti ci dicevano che l’idea era buona, quindi abbiamo deciso di rischiare».
Cosa producete nel concreto?
«Sviluppiamo i reagenti liquidi che i laboratori usano per analizzare i campioni prelevati dai pazienti, principalmente oncologici. Io come dicevo mi sono specializzato in oncologia al Bellaria. Già allora avevamo notato che ci sono alcuni test cruciali per queste terapie costosi e complessi da effettuare, e allora grazie all’appoggio dell’Università ne abbiamo sviluppato alcuni che si fanno in due ore, invece che in tre giorni, con un forte risparmio sui costi».
Poi è arrivato il Covid, che ha stravolto la vostra attività.
«Nel 2019 abbiamo ottenuto tutte le certificazioni per vendere i nostri reagenti in ambito diagnostico, ma poi, tra l’altro proprio da Wuhan, è partita la pandemia che ha bloccato un po’ tutto, anche nelle cure oncologiche. Per questo a marzo 2020 abbiamo sviluppato un primo test rapido Covid, siamo stati riconosciuti dal ministero della Salute e abbiamo fornito a Invitalia 160mila test, principalmente per la Regione Sicilia, fino a gennaio 2021».
Avete fiutato l’affare?
«Io credo che gli imprenditori sanitari non debbano solo lucrare, come purtroppo si è visto in questo caso, ma cercare anche di dare un supporto efficace e rapido, ad un giusto costo».
Cos’ha il vostro test di nuovo?
«Inizialmente erano leggermente più veloci degli altri e più semplici da fare, poi dal marzo 2021 abbiamo sviluppato il primo kit sul mercato capace di individuare le varianti inglese, brasiliana, nigeriana e sudafricana, con un tampone molecolare che si faceva in 45-50 minuti. A livello italiano però ci si è concentrati molto sui vaccini e l’attenzione sui tamponi è stata messa da parte. Ma continuiamo comunque a lavorare in Italia, oltre che affacciarci sui mercati esteri».
State lavorando ad altri test?
«Non posso dire molto, ma stiamo facendo ricerca sia sulla variante Delta che sulle future varianti che potrebbero arrivare. Ma lavoriamo anche in ottica post-Covid, sperando che la pandemia non duri tanto, perché il nostro focus rimane l’oncologia. Il Covid ha anticipato l’ingresso in un mercato, le malattie infettive, in cui prevedevamo di arrivare in 2-3 anni».
Che previsioni fate?
«Nel 2019 il fatturato è stato di circa 100mila euro, nel 2020 abbiamo giocato un po’ in rimessa, ma già nel 2021 contiamo di superare i 300mila euro, siamo un’azienda in crescita che deve strutturarsi».
Assumerete?
«Ci ingrandiremo un po’, anche se dipenderà dall’andamento. Vorremmo però continuare a investire nella ricerca, che continuiamo a fare in collaborazione con l’Università, e cercare qualche figura commerciale, ad anno nuovo».
Che momento è adesso?
«Per noi il Covid è stato uno stimolo a cambiare pelle. Adesso è un momento di crescita, ma si vive ancora tutti alla giornata».
In Italia avete trovato un ambiente adatto?
«Noi abbiamo la sede legale in Irlanda perché abbiamo partecipato a un programma di accelerazione lì, anche se la sede operativa è qui a Bologna. Diciamo che in Italia abbiamo sperimentato quello che dicono tanti, la mancanza di fondi di investimento. E poi c’è il problema, non italiano ma generale, che in questo campo ci muoviamo contro colossi che fatturano miliardi: il sistema è molto conservatore».
Entreranno nuovi soci?
«Abbiamo vari contatti, da tempo, ma non c’è ancora qualcosa di definito»